POESIA, ARTE, ATTUALITA', SOCIETA', RECENSIONI, TERRA DI CIOCIARIA

mercoledì 27 ottobre 2010

Leopardi e l'apprendimento.

Seduti tra i banchi di scuola, tra un verso e l’altro, difficile pareva immedesimarsi nell’animo del grande di Recanati. Ma poi, ci si rende conto che Giacomo Leopardi non aveva poi tutti i torti. Con i nostri anni sulla groppa, si è superato ( e non solo) il rapporto scolastico docente-discente. Dopo aver avuto il coraggio di buttare in soffitta i diari zeppi di dediche sulle Alpi e le Ande ( un grido si espande…Paola sei grande !), ci si è accorti di aver finalmente chiuso i battenti  della scuola.
Dunque, qual è il nocciuolo della questione ?

Imparare a scuola è un conto, applicare ciò che si è tentato di apprendere è tutt’altra cosa. Se si legge invece di leggere ( da notare la differenza) allora meglio i modi anziché i tempi verbali. Meglio l’infinito leggere (con la sua seconda coniugazione), perché questa parola ci riporta all’”Infinito” del sommo poeta Leopardi (link). E all’ermo colle tanto caro, come tale è la mia Veroli. Ed il cuore per poco non si spaura, per lei e per l’eterno e le morte stagioni, per il naufragar m’è dolce in questo mare…
 
«Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare»